PASSION di Novembre 2007, 2 al prezzo di 1...

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Silvia ^^
CAT_IMG Posted on 20/11/2007, 23:55




due romanzi in confezione twin, 2 al prezzo di 1...

Trasgressione scarlatta di Jina Bacarr


Fondente come il cioccolato di Megan Hurt
(1° capitolo)
Ci conoscemmo casualmente, in modo assolutamente banale e fortuito.
Lo vidi per la prima volta in un negozio di dolciumi. Si girò e mi sorrise. Io rimasi così stupita che ricambiai il suo sorriso.
Non era un negozio di caramelle per bambini e neanche una normale pasticceria. Era una bottega artigianale di lusso che vendeva cioccolatini e dolciumi di marca, molto raffinati. Non ci si entrava certo per comprare un lecca lecca o un sacchetto di gelatine di frutta assortite; era il posto in cui si potevano trovare i tartufi francesi, il cioccolato belga e costose confezioni regalo per stupire la moglie del capo, in modo da alleviare i sensi di colpa dopo essersi rotolate tra le lenzuola con lui durante una trasferta di lavoro.
Lui stava comprando delle caramelle di liquirizia morbide. Guardò il sacchetto trasparente che avevo in mano, pieno di praline al cioccolato ricoperte di zucchero glassato verde.
«Sa cosa dicono delle caramelle verdi?» disse inaspettatamente in tono malizioso, mentre io cercavo di resistere al suo fascino impudente.
«Che si comprano per festeggiare il giorno di San Patrizio» risposi io prontamente. Almeno era per quel motivo che le stavo acquistando.
Lui scosse la testa. «No» ribatté, in maniera scher-zosamente solenne. «Che fanno arrapare.»
Ero stata abbordata un sacco di volte, per lo più da uomini convinti che quello che avevano tra le gambe compensasse abbondantemente ciò che scarseggiava all'interno del loro cranio. Di tanto in tanto mi lasciavo rimorchiare, giusto perché era piacevole desiderare ed essere desiderata, nonostante fosse tutta una finzione e finissi quasi inevitabilmente per restare delusa.
Comunque mi rifiutai di mostrarmi scandalizzata.
«È una leggenda metropolitana creata da adolescenti in piena tempesta ormonale» dichiarai senza scompormi.
Le sue labbra s'incurvarono ancora di più verso l'alto. Forse il suo sorriso luminoso era la caratteristica più degna di nota nel suo volto dai lineamenti regolari, quasi anonimi. Aveva i capelli dello stesso colore della sabbia bagnata e occhi di un verdazzurro torbido, paludoso. Era carino, ma il sorriso lo rendeva decisamente affascinante.
«Bella risposta» approvò.
Mi porse la mano. Quando gliela strinsi, mi attirò leggermente verso di sé. Io feci un passo esitante in avanti e lui si piegò verso il mio orecchio.
«Le piace la liquirizia?» sussurrò. Il suo respiro caldo sulla mia pelle mi provocò un brivido.
«Sì» risposi senza fiato, con un filo di voce, come se avessi confessato un vizio peccaminoso.
Mi tirò verso un barattolone di vetro con il coperchio di latta, pieno di caramelle di liquirizia e con un canguro sull'etichetta.
«Ne provi una. Vengono dall'Australia.»
Infilò una mano nel barattolo, prese una caramella e me la portò alle labbra. Io aprii la bocca e sporsi appena la punta della lingua senza protestare, anche se c'era un vistoso cartello che vietava ogni assaggio. Lui mi sfiorò le labbra con i polpastrelli imboccandomi.
Il sapore della liquirizia si spalmò sulla mia lingua, fragrante, dolce e appiccicoso. Lui sorrise soddisfatto.
«Conosco un posticino» continuò, e io lasciai che mi ci portasse.

Il pub, in finto stile inglese, si chiamava Il lupo e l'agnello e aveva un'insegna che raffigurava un lupo assetato di sangue che sbranava un agnellino indifeso. Era tutto un programma. Se poi si aggiungeva il fatto che si trovava in un vicolo scuro del centro di Harrisburg, non ci voleva niente ad associarlo a Jack lo Squartatore.
Ma io non avevo paura. Anzi, ero incuriosita, divertita e, sì, anche eccitata.
Il locale era grazioso, ancor più perché era un posto sui generis rispetto ai bar pretenziosi, alle discoteche trendy e ai ristoranti sofisticati che riempivano il quartiere. Era un pub senza pretese, informale e dall'ambiente rilassante.
Quando entrammo, c'era un gruppo di scalmanati studenti universitari che cantavano al karaoke. Per tenerci lontani da loro, ci sedemmo al bancone. Il mio sgabello dondolava un po' e dovetti sorreggermi al bordo del bancone per riprendere l'equilibrio dopo essermi seduta. Ordinai un margarita.
«No» mi bloccò lui scuotendo la testa. «Prenda un whisky.»
«Non ho mai bevuto whisky.»
«Una vergine? Meglio.»
Se il commento l'avesse fatto un altro, avrei alzato gli occhi al cielo e l'avrei reputato patetico. Sulle sue labbra, invece, suonava giusto.
Ordinò un whisky di marca per tutti e due e trangugiò il suo in un sorso solo. Anche se non sono una bevitrice di whisky, sono abituata all'alcol e lo imitai senza batter ciglio. Dopo l'iniziale bruciore nella gola e nello stomaco, il gusto del liquore raggiunse le mie papille gustative. Sapeva di foglie bruciate in una stufa, di un ambiente intimo, caldo, persino un pochino romantico.
Gli s'illuminò lo sguardo. Era compiaciuto. «È bello vedere che lo butta giù tutto in gola» commentò con voce roca.
«Un altro?» chiese il barista.
«Un altro» acconsentì lui, prima di rivolgersi a me. «Molto bene.» Annuì.
Il suo complimento mi fece piacere, anche se non capivo perché fosse tanto importante la sua approvazione.
Rimanemmo lì a bere per un po'. Forse il whisky mi stava dando alla testa, oppure era la compagnia di quell'affascinante sconosciuto a rendermi tanto effervescente da ridacchiare per i suoi commenti su-gli altri avventori.
La donna in serioso tailleur che sorbiva un tè in un angolo era in realtà una prostituta sadomaso in pausa; l'uomo in giubbotto di pelle che beveva birra commerciava in casse da morto usate; il barista era un coltivatore di caramelle.
«Le caramelle non si coltivano» precisai io, piegandomi verso di lui.
«No?» Sembrava deluso che non stessi al gioco.
«No.» Lo guardai dritto negli occhi. «Si trovano sugli alberi.»
Lui rise di gusto, rovesciando la testa all'indietro. In quell'istante lo invidiai per la capacità di abbandonarsi all'impulso di fare una risata fragorosa. Io avrei avuto paura di essere osservata.
«E tu? Tu chi sei?» mi chiese in un sussurro complice.
Fui contenta che avesse abbandonato il più formale lei senza chiedermi il permesso.
«Io sono una contrabbandiera di praline» bisbigliai con le labbra rese insensibili dal liquore.
Stese una mano e si girò intorno a un dito una ciocca dei miei capelli che era sfuggita dalla treccia. «Non sembri tanto pericolosa.»
Ci guardammo per un lungo istante. Eravamo estranei, ma ci sorridemmo con un'intimità complice.
«Ti va di accompagnarmi a casa?» gli proposi.
Lui accettò.
Quella sera non tentò di fare l'amore con me, il che non mi stupì. Non cercò neppure di mettermi le mani addosso, e questo invece mi stupì. Non mi diede neanche un bacio, anche se indugiai sulla porta mentre cercavo le chiavi e continuai a chiacchierare e a sorridere ancora qualche minuto per dargli modo di decidersi.
Non mi chiese come mi chiamavo e non volle neanche il mio numero. Mi mollò sulla soglia e io lo seguii con lo sguardo, stordita dal whisky, mentre si allontanava. Quando non riuscii più a distinguere la sua sagoma sotto i lampioni, entrai in casa.
 
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