Giulia Carmen Fasolo: Circospette ombre, discussione sulla fotografia

« Older   Newer »
  Share  
Edizioni Smasher_PR
CAT_IMG Posted on 5/6/2012, 17:26




copertinafasolo5preview

Nodi introduttivi
di Giulia Carmen Fasolo

Cos’è la fotografia, al di là di quella lastra di carta fotografica di dimensioni pari al nostro volere? Al di là di quell’ottomana digitale di pixel, avviluppata in una unica immagine, che ci investe attraverso la luce del nostro monitor? È un singhiozzo fotografico dell’attimo, come lo considero io, oppure un’arte figurativa che rappresenta il fotogramma oggettivo del reale?
Forse non sarà possibile (e per fortuna) giungere a uniche e univoche soluzioni, tranne che ancorarsi all’interstizio del significante tra luce (phos) e grafia (graphis).
In una sorta di tentativo – speriamo non forzato – di analogia morfologica, la luce presuppone l’esistenza del buio (come nei circuiti elettrici il passaggio della corrente presuppone il non passaggio); il chiaro presuppone l’esistenza dell’ombra (come quando la nostra forma fisica si branca con il sole); il bianco presuppone lo scuro (come quando un fazzoletto lindo si sporca); la fotografia presuppone un Sé (come ogni realtà presuppone un Io).
E tutto questo presuppone la saturità emotiva. Per qualcuno orfica, per qualcun altro tuorlo arancio di inquietudine.

Non mi interessa scandagliare la storia della fotografia o delineare perfettamente e senza scompensi dell’informazione la costruzione della tecnica fotografica negli anni (anche solo per il fatto che non mi compete). Né mi interessa redigere un saggio propriamente detto sull’arte della fotografia o dell’attimo che esce da una sola prospettiva (che poi è quella di chi preme il dito sull’otturatore).

Mi interessa, soprattutto, raccontarvi la mia fotografia.

Cercando, però, di non obliare su quella degli altri, raffigurando i loro pensieri, delineando le proposizioni concettuali che più mi interessano. Uno sguardo sulle altrui teorie che non potrà essere considerato esaustivo dell’argomento, ma solo del mio interesse, quello tipico di chi “vive e divora” i libri.
Questo mio assolo letterario sulla fotografia forse in taluni punti risulterà autoreferenziale. Ma mi chiedo: la poetica fotografica forse non lo è pure? Paradossalmente, pur avendo formulato la domanda, la risposta mi lascia indifferente, perché presuppone per forza un’unica certezza e un’unica affermazione teoretica. Questo è solo un quaderno di riflessioni sulla fotografia, sul fascino che ha su di me l’otturatore e il suo potenziale intrinseco (tecnicamente e metafisicamente). Ne sono affascinata, quando sono ferma a scoprire la realtà (ma mai in modo definitivo), sedotta da una verità che si modifica (e mi modifica) ogni volta al mutare della luce e dell’ombra.
È una sorta di nascondino, uno sgabuzzino da tipico meccanismo di difesa, quando in fondo ciò che mi circonda mi appare così nauseante, che fotografarlo vuol dire annientarlo, catturarlo e renderlo inoffensivo. Ucciderlo, in poche parole. Una metafora (non troppo inconscia) di bisogno di eliminazione, negazione. In fondo, a ben pensarci, l’80 percento delle mie fotografie finisce di respirare proprio sotto la funzione del cestino svuotato: con un clic digitale anniento ciò che non mi piace e lo rendo nullo, immune, ne annullo l’inutile (per me) esistenza. A volte, il mio scatto vive di quel momento e poi muore, perché mi sazia scegliere al posto suo, poterlo gestire e godere della sua fine per mia scelta.
Queste sono pagine che contengono il resoconto del legame tra la fotografia e ciò che ossessivamente viene chiamato reale (che poi non è mai lo stesso), tra la fotografia e il lutto (ricostruzioni psichiche e necrofile), tra la fotografia e la sessualità (senza declinazione identitaria o specifica preferenza, poiché l’amore di per sé non lo impone).
È, in sostanza, il legame tra la fotografia e l’essere fotografi, connubio innestato in questo mondo.
Non sarà, dunque, né un saggio di filosofia, né un trattato di interesse per le discipline psicologiche, né un diario sulla soluzione fotografica. In fondo, in questo contesto, nessuna di queste ambientazioni di studio mi interessa davvero esplorare. Sarà un punto di vista, collocato tra un frame e uno scatto, come avviene mille volte tra le mie mani.

E se mai ce ne fosse bisogno, preciso fin da subito che per me la fotografia è il risultato di una guerriglia aperta (che intendo tutte le volte vincere), poiché la mia macchina fotografica è un’arma. Forse l’unica che mi salverà dal resto dell’umanità.


Sevi interessa questo libro, vi consiglio di consultare la scheda sul sito delle Edizioni Smasher (Link)
 
Top
0 replies since 5/6/2012, 17:26   39 views
  Share